Leggende valdostane

 

Il tesoro del Castello di Graines.

Sotto il castello di Graines è sepolto un tesoro; nessuno mai è riuscito a portarlo alla luce, anche se molti ci hanno provato. Tra gli altri un giovane mandriano.
In sogno, una voce gli aveva indicato il punto dove avrebbe dovuto scavare, ammonendolo a lasciare il nascondiglio prima che il gallo cantasse tre volte.
La notte successiva, l'uomo fece come gli era stato detto e, scoperta una botola, penetrò nella stanza del tesoro.
Abbagliato dallo sfavillio dell'oro e delle gemme che a mucchi riempivano la grotta, indugiò a contemplare quelle favolose ricchezze, affondandovi cupidamente le mani. Il gallo cantò: una, due, tre volte. La botola si chiuse senza far rumore: e l'uomo restò prigioniero nella caverna incantata, nè alcuno seppe più nulla di lui.

Le castellane di Graines.

Il castello di Graines domina la valle dell'Evançon, là dove essa si allarga in distese di prati e di boschi, dall'alto dello sperone di roccia sul quale si leva a vertiginoso strapiombo sul torrente. Vuole la tradizione che il maniero abbia avuto sigmori dispotici e castellane dal delicato pallore.
Perchè il riverbero del sole sulla neve e sui ghiacciai della Becca Torchè non abbronzasse la bianca carnagione delle dame di Graines, si racconta che la gente del contado era obbligata dal feudatario a coprire di terra il costone.


Il ponte del diavolo a Pont Saint Martin.

Nelle Alpi una delle leggende più ricorrenti riguarda la costruzione di ponti impossibili o difficilissimi da parte del demonio. Singolare che il costruttore sia spesso il diavolo e non qualche santo, che invece interviene per salvare gli imprudenti commitenti, evitando loro di dover pagare contributi pesanti a base di anime e vite umane.
La Valle d'Aosta non fa eccezione a questa saga e si racconta che a Pont Saint Martin, si noti il nome, il vorticoso torrente Lys fosse attraversato da una malandata e pericolosa passerella in legno, dalla quale era facile scivolare, precipitando nelle acque gelide e piene di gorghi, in tal modo vi erano state già diverse vittime. Tutti gli abitanti del paese misero mano alla borsa, raccolsero una certa somma, alla quale parteciparono anche i signori del paese e il parroco, ma i lavori si rivelarono ben più difficoltosi e dispendiosi del previsto, in tal modo la costruzione si interruppe con grande disappunto di tutti gli abitanti, che si erano illusi di poter finalmente attraversare il Lys in tutta comodità e tranquillità.
Durante un'assemblea del paese si fece avanti uno straniero che offrì insperatamente una borsa piena di pezzi d'oro, tra il tripudio generale egli si rivelò essere il diavolo in persona, che avrebbe finanziato la costruzione del ponte, pretendendo in cambio il prezzo dell'anima del primo che sarebbe transitato sul ponte stesso. L'assemblea accettò l'offerta, con il patto di non rivelare mai a nessuno la terribile richiesta, ma la cosa fu ben presto risaputa da tutti gli abitanti del circondario e dai viandanti. Tutti, spaventati, si tenevano ben lontani dal ponte, evitandone l'attraversamento, per non dover pagare al diavolo un prezzo tanto terribile.
Ma il demonio, che aveva pregustato la facile conquista di un'anima da portare all'Inferno, si inferocì e mandò sul paese una serie di sventure, che precipitarono la zona in una carestia terribile: le galline non facevano più uova, le mucche non producevano più latte e i frutti marcivano sulle piante. Occorreva trovare quest'anima da sacrificare al diavolo, altrimenti la carestia avrebbe distrutto tutto il villaggio. Il paroco andò a trovare un eremita saggio e santo che viveva nei boschi intorno al santuario di Nostra Signora della Guardia, implorandone l'aiuto.
Martino tranquillizzò il povero curato impaurito e gli ordinò di venire all'alba nei pressi del ponte,con tutta la popolazione e di suonare la campana dell'Angelus. Così fecero e al mattino seguente Martino arrivò anche lui, recando al guinzaglio un cane affamato, si fece il segno della croce e attese il suono della campana e quando ciò avvenne, tirò un pezzo di pane raffermo dall'altra parte del ponte. La povera bestia, affamata, attraversò di gran corsa il ponte e fu afferrato dal diavolo, che vistosi giuocato si arrabbiò tantissimo: sputò fiamme, urlò e diede un poderoso calcio alla spalletta del ponte, provocando una crepa che è visibile ancora oggi.
Martino fu portato in trionfo tra il tripudio generale della gente, che festeggiò per tre giorni e tre notti, ma lui schivo come sempre preferì ritornare silenziosamente al suo romito rifugio.
Gli abitanti, in segno di gratitudine e di ricordo del fatto, presero la decisone di chiamare il paese con il nome del suo beneffatore e dell'oggetto della sfida: Pont Saint Martin!

 

La leggenda del Ru Mort, da Roisan.

Premessa: Ogni Ruscello, durante i periodi di piena, è sorvegliato da una Guardia che controlla che l'acqua non venga sprecata e vengano rispettate le quantità e i tempi di irrigazione dei singoli proprietari terrieri.

Era una calda mattina di Agosto quando la Guardia del Ru Mort si alzò per fare il solito giro di controllo del ruscello. Quel giorno però, il guardiano non era solo e si sentiva seguito da una presenza oscura e misteriosa.
Insospettitosi da tale sensazione si fermò a controllare una paratia quando, con la coda dell'occhio, notò qualcosa muoversi nell'erba accanto a lui. Avvicinatosi per vedere cosa lo aveva messo a disagio scoprì una vipera nera strisciare nell'erba.
Il guardiano, infastidito da quella presenza, prese un bastone ed allontanò la serpe di qualche centimetro per evitare che avesse potuto nuocergli ed intraprese nuovamente il giro di ispezione lungo il ru. Dopo un centinaio di metri attirato dal frastuono dell'acqua che usciva da una seconda paratia, lasciata sbadatamente aperta , si fermò per chiuderla, ma, nel mentre cercava di afferrarla, si accorse che la medesima vipera era attorcigliata sul manico della stessa.
Stupito e spaventato si allontano frettolosamente lungo il ruscello, dopo pochi metri si fermo per riprendere fiato e si accorse che vicino ai suoi piedi c'era nuovamente la serpe che lo infastidiva. Questa volta però, innervositosi, afferrò un bastone e la colpì mortalmente.
Da quel giorno ogni tentativo di manutenzione del ru risultò invano, le pareti si sgretolarono sotto la forza impetuosa dell'acqua e le continue perdite irreparabili costrinsero i paesani ad abbandonarne l'utilizzo.
Il Guardiano infatti, convinto di aver ucciso una semplice vipera, si sbagliava, in quella creatura si nascondeva la Fata protettrice del Ru che da quel giorno prese il nome di Mort, perchè con la morte si concluse la storia di quel ruscello.

Come si può ben capire, la leggenda insegna che non bisogna lasciarsi fuorviare dalle apparenze e anche che occorre rispettare tutte le creature, anche quelle apparentemente brutte o fastidiose, ogni essere vivente ha la sua importante collocazione...

 

Lo sfrondatore di castagni.

Una delle operazioni più importanti per gli agricoltori della zona del castagno è la sfrondatura di tali alberi, che si pratica, ordinariamente, nella seconda metà di agosto. Questa specie di potatura indispensabile al castagno, si pratica anche per il platano, il sorbo, il tiglio, il frassino, ed ha il duplice scopo di dare rigoglio alla pianta e di fornire un ottimo foraggio per i caprini nella stagione invernale.
Il castagno poi, se di quando in quando non vien potato, liberato dai rami secchi e superflui, intristisce e si rifiuta di portare castagne.

Un nerbuto contadino di Sax in un giorno di agosto, se ne stava tranquillamente seduto su un grosso ramo di castagno e, con una scure ben affilata, mandava colpi formidabili per staccarlo dal tronco.
Transitava di là compare Crestaz, uomo di intelligenza non comune che, accompagnato dal suo somarello, portava provviste in montagna. Questi, vedendo il povero Barnabà (nome del contadino) in quella pericolosa situazione, si fermò ad osservare, poi lo chiamò e gli disse: -Barnabà! Ma che fai? Sei impazzito? Ti vuoi suicidare? Se continui a stare sul ramo che tagli, cadrai...!
- E che ne sai tu?... Sei forse un profeta per conoscere il futuro? Non è la prima volta che taglio dei rami di castagno e non mi è mai capitato nulla! Che importanza può avere poggiare i piedi un po' più in qua o un po' più in là?!!!
- Uccello di malaugurio, vattene per i fatti tuoi!
Compare Crestaz non aveva ancora fatto cento passi, quando uno scricchiolio, accompagnato da un forte grido, lo avvertì che il povero Barnabà era miseramente caduto al suolo, unitamente al ramo che aveva tagliato. Il povero uomo sbuffò, sgambettò un pochino, poi si rialzò. La distanza dalla terra non era eccessiva, così il poveretto se la cavò con una gran paura e qualche scalfittura alle mani e ai piedi. Ma quale non fu il suo stupore quando dovette toccare con dito che compare Crestaz aveva predetto giusto.
- Sei un profeta o un mago? Come fai a conoscere il futuro? E' proprio vero che sei un uomo di una rara testa! Se tu sai predire l'avvenire, come ho avuto modo di constatare, tu saprai certamente predirmi il giorno e l'ora che dovrò morire!
-Certamente! E che ti pare? E se ti preme sapere quando dovrà accadere quel triste avvenimento, ti dirò che quando il mio somarello cadrà per la terza volta, sarà giunta la tua ultima ora.
-Possibile? Se è così, verrò teco. Seguirò te e il tuo asinello. E si avviarono tutti e tre verso Arpuilles, soggiorno estivo di compare Crestaz.
La strada erta si snodava su di un terreno ghiaioso e franoso. Il sole lanciava i suoi dardi cocenti; le cicale assordavano i passanti con la loro monotona canzone.
I nostri due, di quando in quando si fermavano per asciugare il sudore che scendeva abbondante dalle loro gote, poi riprendevano il cammino, parlando del più e del meno.
A un dato momento, che è, che non è, il somarello inciampa e cade a terra con la soma e tutto.
Opp! ! L'asino si rialza. La soma viene rimessa in groppa e si riprende la strada...
Intanto Barnabà si sente una stretta al cuore! La sua ora si avvicina... Si cammina ancora... Si continua a parlare di politica, delle elezioni, delle conquiste di Napoleone... Ma Barnabà è quasi assente... Pensa che la sua vita sta volgendo al termine e che essa è strettamente legata al comportamento del ciuco di compare Crestaz. Non gli leva più gli occhi d'addosso...
Ad un tratto: patapunfete!!! L'asino posa i piedi su di un ciottolo mobile, sdrucciola, inciampa, ed è di nuovo in terra.
E due!... Il cuore di Barnabà prende a martellare più forte.
-Se cade una terza volta, sono belle e fritto. Per me è finita.
Si riprende la strada, si ricomincia la conversazione. Il cuore di Barnabà martella sempre di più. Già si scorge sul poggio la bianca casetta di compare Crestaz... Forse ci siamo! pensa Barnabà. E il cuore gli si apre alla speranza. -Che debba proprio cadere adesso? ...Speriamo di no!..
Ma nell'attraversare un rigagnolo, il terreno cedette sotto i piedi della bestia, che, dopo un lungo scivolone, stramazza di nuovo al suolo. Barnabà si sente mancare, si abbatte al suolo anche lui e cade, come corpo morto cade... Egli attende la morte, o piuttosto si crede già morto.
Compare Crestaz lo chiama, lo scuote, gli spruzza il viso di acqua. Invano. Non dà più segni di vita. Non ottiene più risposta. Si reca allora a casa a chiamare soccorso.
-Accorrete! Recatevi laggiù vicino alla gora! Là troverete il povero Barnabà agonizzante! Tutta la gente del villaggio volò sul posto indicato per portare soccorso a Barnabà.
Si sperava che si trattasse solo di uno svenimento. Chi gli spruzzava acqua in viso, chi lo spogliava, chi lo scuoteva, chi gli faceva annusare dell'aceto, chi gli bagnava i polsi di acquavite... Ma furono tutti sforzi inutili. Il pover'uomo non diede più segno di vita.
Allora fu portato a casa e si pensò ai funerali.
L 'indomani si provvide a portare il morto a valle. Quattro uomini forti e robusti adagiarono il presunto defunto su di una barella e gli fecero rifare la strada che il giorno prima, aveva fatto da sè con tanta trepidazione.
Un ragazzo portava la lanterna e il mesto corteo s'incamminò, adagio, adagio, giù per la strada scoscesa. Man mano che scendevano, secondo una pia abitudine delle nostre montagne, le campane delle cappellette facevano sentire i loro rintocchi al passaggio del morto...
Dopo lunghe ore di cammino, passo, passo, giunsero al bivio che sovrastava di poche centinaia di metri l'abitazione di Barnabà. Qui si fermarono e fecero una lunga tappa...
Quando si trattava di ripartire, si venne a un diverbio. Chi voleva prendere la strada di destra e chi quella di sinistra.
La discussione si animava e non accennava a finire.
Allora avvenne l'imprevisto. Si udì la voce di Barnabà esclamare : -Quando ero vivo, passavo da questa parte; ora che sono morto, fate come volete!
I quattro portatori e il ragazzino che reggeva la candela, scapparono a gambe levate.
Barnabà, rimasto solo, stette alquanto a riflettere, e poichè i morsi della fame incominciavano a farglisi sentire, concluse che non era completamente morto. Si scosse la polvere dagli abiti; diede una lisciatina ai capelli e a lunghi passi si avviò verso la sua abitazione, a vedere se la moglie gli aveva preparato la polenta di patate o la minestra di castagne.


I carbonai di Borey.

Dal 1894 la nostra valle è attraversata da una bella e comoda strada carrozzabile che si snoda da Pont St. Martin a Gressoney per un percorso di trentasei chilometri. La bella carrozzabile che fu considerata dai nostri padri una vera conquista di comodità, viene oggi ritenuta insufficiente. I temipi incalzano, il traffico aumenta i valligiani e i turisti ambiscono qualcosa di meglio.
L' Amministrazione Regionale con decisioni che la onorano, provvede all'allargamento e alla sistemazione della vecchia strada.
Grandiosi lavori sono incorso, si perforano le montagne, si gettano nuovi ponti, si riducono le curve, si provvede a lavori di allargamento e di assestamento: Tra pochi anni la nostra valle avrà una strada asfaltata, levigata, comoda dell'ampiezza di sei metri circa.
Cosa direbbero i nostri antenati se, per qualche istante, potessero tornare ad osservare?!!!
Non vi erano lambrette allora, nè autocarri, nè vespe, ne pullmann... Perfino le biciclette erano sconosciute. Ma che dico? Nemmeno i piccoli carretti potevano transitare e portare i viveri ai valligiani. Nella scomoda e primitiva mulattiera, facevano servizio una volta al giorno alcuni muli, che erano pure addetti al servizio postale. Se poi potessimo fare un volo indietro negli anni e tornare per qualche giorno ai tempi andati, vedremmo passare, a determinate ore, sulla mulattiera, una lunga fila di muli e di ciuchi, con basto in groppa e, specie nei giorni di mercato e di fiera, uomini donne, in gruppi o in fila indiana, carichi di farina o di carbone, secondo la direzione che seguivano. Chi poteva allora concedersi il lusso di viaggiare scarico? Appena i conti e i marchesi.
E' noto che anche i muratori che si recavano in Francia o in Svizzera per fare campagna, viaggiavano affardellati, portando addosso gli arnesi del propio mestiere.
Per noi, viaggiare a piedi scarichi, è una pena; per i nostri antenati era un lusso.
Scarsa la viabilità, scarso il traffico.
Oggigiorno lo sfruttamento dei boschi è intenso, forse eccessivo. Ad ogni istante si vedono passare autocarri a rimorchio, che recano al piano montagne di legna.
Allora invece lo sfruttamento dei boschi era rappresentato unicamente dalla vendita del carbone che si produceva sul posto. Nella stagione cattiva, gli uomini abbattevano gli alberi deperienti e ne facevano carbone. Le donne provvedevano a portarlo a vendere alle ferriere di Mongenet, a Pont St. Martin.
Come era dura la vita allora! Eppure quanta armonia e quanta pace aleggiava fra quella popolazione semplice, laboriosa e buona!!!

Borey è una località di alto alpeggio, ove si conducono le mucche una sola volta all'anno, nella stagione canicolare. Si trova oltre i 2000 metri di altitudine. Lassù l'aria è fresca, anche nel mese di luglio.
Il sito è dei più suggestivi. L 'alpe occupa una bellissima conca, circondata da monti. Un ruscelletto, che sorge dal monte Rosso, scende a cascatelle e passa a rinfrescare le cantine del latte, poi trova una conca e forma uno di quei graziosi laghetti alpini ove giacciono le rane nella buona stagione, quindi prosegue il suo corso ingrandendosi e raggiungendo a valle una considerevole dimensione.
Tre o quattro baite sorgono qua e là, in mezzo al verde... La vegetazione è costituita di tenere erbette alpine, di cespugli di rododendri e di alni nani, di conifere, fra le quali primeggia il pino pinea (orolla).
Caratteristica e varia è pure la fauna, rappresentata essenzialmente da rondoni alpini, da aquile gigantesche, da fagiani, da pernici, lepri, marmotte, camosci, volpi e nei tempi che stiamo evocando, ancora da lupi e da linci.
Se la località è molto accogliente nella buona stagione, è facile immaginare come si trasformi in autunno, appena la bruma discende sulle montagne.
Quando incominciano i primi freddi i montanari abbandonano la località e scendono, per gradi, nelle baite sottostanti. Sul finire dell'anno 1740 due fratelli si recarono in questa località a far carbone e per sentire meno il peso della solitudine, uno pensò di portare con sé il proprio figliuolo di dodici anni.
E' noto a tutti che i ragazzi hanno la proprietà di diffondere intorno a loro un po di quel sole che portano nel cuore e di infondere nell' anima degli adulti un po di serenità e di letizia.
Il nostro piccolo, oltre a dare un po d'allegria ai propri congiunti, li aiutava anche a sbrigare i lavori di casa.
Furono abbattuti un certo numero di pini, furono preparate nel pianoro le cataste di legna da ridurre in carbone. Ultimati tutti i lavori preliminari, furono accesi i fuochi e la legna andava lentamente trasformandosi in carbone, sotto la costante vigilanza degli esperti carbonai.
Nembi di fumo sì sprigionavano dalle carbonaie e andavano , a confondersi con la nebbia, sempre abbondante in autunno in quella regione. La brigatella era occupatissima. Il tempo trascorreva assai allegramente. Negli intervalli di tregua i due fratelli narravano leggende e fiabe al ragazzo e canterellavano qualche canzone popolare...
Un sabato sera, accortisi che le provviste giungevano al termine, decisero di discendere uno al paese, con l'intento di assistere la messa l'indomani, e di ripartire in seguito col carico delle provvigioni.
Il tempo era discreto, la stagione non ancora troppo avanzata. Nulla induceva a fare previsioni cattive. Ma la montagna, come tutte le cose belle, se è affascinante, è anche traditrice.
Durante la notte il cielo si coperse improvvisamente di cupi nuvoloni, la temperatura si abbassò e cominciò a nevicare, a larghe falde... In poco tempo il suolo fu coperto di un denso manto bianco e lo spessore della neve aumentava a vista d' occhio. Che fare? Padre e figlio, al lume di una torcia si affannarono a tener libero il passaggio attorno alle carbonaie e alla baracca, provvidero a mettere della legna al riparo, fecero una buona provvista di acqua in casa, poi si coricarono sul loro giaciglio.
Il freddo era intenso. Raffiche di vento portavano ondate di neve anche nella capanna. Si copersero ben bene. Si misero addosso tutte le coperte che possedevano e ancora gli altri indumenti, ma non riuscivano a prendere sonno dal gran freddo che li attanagliava. E come se questo affanno non fosse stato sufficiente, il padre sentì una fitta forte al costato. Un terribile presentimento lo colpì. Sperava però ancora che si trattasse di una cosa passeggera; si fece coraggio; si alzò, preparò per sè e per il figliuolo una buona tazza di genepì con serpillo, si scaldò vicino al fuoco, senza dir nulla al fanciullo, e si ripose a letto.
Ma il male incalzava sempre. Fu necessario svelare la verità: era colpito da una forte polmonite. In quella località! Solo con un ragazzo! Senza risorse, senza provviste, lontano dal medico, dal farmacista, dal Parroco, e per di più, in mezzo alla neve, che cadeva sempre più fitta!...
Il povero ragazzo, conscio della gravità della situazione, fece tutto il possibile per soccorrere il proprio genitore, per alleviargli il dolore. Lo scaldava, gli preparava delle tisane, lo incoraggiava... e quando lo sconforto lo coglieva, si rivolgeva fervorosamente a Dio pregandolo di volergli lasciare il padre.
Ma i disegni della Divina Provvidenza sono imperscrutabili. Non sempre le nostre preghiere vengono esaudite, non sempre chi è buono viene ascoltato e risparmiato.
Il povero uomo si aggravava sempre di più e il ragazzo doveva constatare che le sue cure riuscivano vane.
Malato e infermiere si consolavano a vicenda. L'infelice padre che si sentiva sopraffare dal male, cercava sempre di mostrarsi sereno, di farsi vedere meno abbattuto di quello che era effettivamente.
E il ragazzo moltiplicava le sue cure.
Due giorni e due notti passarono in una alternativa di speranza e di sconforto, poi il male si aggravò.
L 'infermo perse la parola, poi la conoscenza, e dopo alcune ore di agonia, spirò fra le braccia del disgraziato figliuolo.
E il povero piccino rimase solo con il padre esanime e il suo intenso dolore. Nessuno udiva il suo pianto, nessuno conosceva lo schianto di quella tenera anima, nessuno poteva porgergli una parola di conforto. Solo Iddio era testimone di tanto dolore e dava all'orfanello la forza di sopportare...
Il povero fanciullo, in tanta angoscia, trovava ancora la forza di pregare e la preghiera lo sollevava, gli infondeva coraggio, rassegnazione. Aveva freddo, aveva lo stomaco vuoto, era esausto, ma i mali fisici erano ben poca cosa in confronto al dolore che lo affliggeva.
Passò la notte a piangere e a pregare. Poi la stanchezza, prodotta dalla veglia prolungata e dal dolore, gli procurò qualche momento di assopimento. Ma quando si svegliava, la triste realtà gli appariva ancora più lancinante, più dura.
Fuori la neve era alta. Le carbonaie fumavano sempre più lievemente... I lupi mandavano ululati sinistri.
Al mattino il ragazzo sentì delle voci di richiamo che si avvicinavano... Era lo zio che arrivava, con una squadra di soccorso, spalando la neve alta e dura...
Quando lo zio raggiunse la capanna, l'orfanello gli si gettò nelle braccia piangendo e, singhiozzando, gli narrò la triste vicenda.

 

Il campanile di Ilex.

Da qualche tempo gli abitanti di Ilex erano assillati desiderio di dare al proprio villaggio un campanile più degno, più slanciato, un campanile che sorpassasse di gran lunga tutti i campanili dei dintorni. E per attuare il loro proposito decisero di indire un'assemblea alla quale invitarono le principali personalità del luogo, comprese le donne.
La questione fu trattata a fondo, esaminata e vagliata ogni sua parte. Ogni membro espose le sue vedute, le proprie proposte, finalmente si approvò all'unanimità la proposta di compare Crestaz, presidente dell'assemblea, che qui riportiamo:
« E' arcinoto che per la prosperità e lo sviluppo di una pianta di qualsiasi genere, devono concorrere tre elementi: concime, calore e umidità. Parimenti, se vogliamo far crescere il nostro campanile dobbiamo concimarlo dovutamente alla base. annaffiarne le fondamenta e ripararlo dal freddo, coprendolo da capo a fondo con una buona fasciatura di lino ».
Quest'ultimo provvedimento servirà dunque a preservare dal freddo il campanile e, contemporaneamente, a osservare il giornaliero suo slancio; dalla terra verso il cielo. Si prenderanno due piccioni con una stessa fava, come dice il proverbio.
Le decisioni di compare Crestaz furono approvate all'unanimità, perchè bisogna sapere che la popolazione di Ilex, sebbene fosse fine e intelligente, riconosceva la superiorità intellettuale di Compare Crestaz' e ne rimaneva soggiogata.
Si aperse una sottoscrizione che diede subito ottimi risultati. Il primo venerdì del mese due gagliardi giovani del luogo partirono per Ivrea, con un somarello, per l'acquisto del lino.
Intanto le brave donne della frazione e i giovanotti raccolsero tutto il letame delle concimaie e lo stratificarono alle basi del campanile e annaffiarono abbondantemente. Ma lo spettacolo più bello, più suggestivo fu la fasciatura del campanile. Il lavoro fu fissato per un pomeriggio di domenica.
Tutta Ilex era presente: donne, uomini, vecchi, giovani: nessuno mancava. Tutti vollero procurarsi il piacere di poter dare una mano alla bisogna. Gli uomini più agili, più giovani, salirono sulla cima. per fissare la tela e cominciare la fasciatura. Chi la sorreggeva, chi la avvolgeva delicatamente attorno, chi la distendeva, chi la stirava, in modo che non facesse grinze. Vi erano poi delle abili sarte addette a unire insieme le varie pezze...
E compare Crestaz si sgolava e si sbracciava a dare ordini suggerimenti... Finalmente, dopo ben tre ore di febbrile lavoro, il campanile apparve più maestoso che mai, in tutto li suo candore.
Un bel manto bianco lo copriva da capo a fondo e la tela toccava esattamente la terra, per permettere al popolo di constatare giornalmente gli aumenti di statura che tutti, dopo tante fatiche, si attendevano.
Che magnificenza! Non una grinza. Sembrava una sposa nel giorno delle nozze! La gioia era incontenibile. Sulla piazza della cappella
si cantò, si ballò, si bevve, si mangiò e si accesero dei falò.
Ma anche le cose belle e piacevoli devono pur finire. Verso la mezzanotte compare Crestaz arringò il suo popolo così pàrlò:
« II nostro lavoro è terminato. Dopo tanta fatica è necessario concedervi un po' di riposo. E anche il campanile ha bisogno di riposare.
A questo proposito aggiungo, per il bene della comunità, che desideriamo veder il campanile crescere e prosperare, non dobbiamo disturbalo mai, nè durante il giorno nè durante la notte. Potrete solo venire, di quando in quando, verso la mezzanotte, in punta di piedi a osservare di quanto il lino si è sollevato dal suolo ».
Come già sapete, compare Crestaz a Ilex era considerato come un uomo superiore, come un piccolo dittatore.
Nessuno osava contraddirlo nè confutare quel che diceva. Fu ancora udito qualche: Evviva! qualche bravo! Poi tutti si ritirarono in buon ordine... e il silenzio più profondo avvolse anche campanile.
Passarono i giorni... Passarono le notti... Nessuno osava avvicinarsi troppo al campanile per timore di importunarlo, di disturbarne la crescita.
Solo i più arditi si recavano, trattenendo il respiro, all'ora concessa, ad osservare, ad esplorare...
E ah, meraviglia! Ogni volta si accorgevano che il lino si alzava:. -Buon segno! Il campanile cresce! Le cose vanno per il meglio! Viva compare Crestaz! Fra poco avremo un campanile da far crepare di invidia tutti gli abitanti dei dintorni!
Passò ancora un po' di tempo.
L'ottimismo era generale.
Finalmente, quando, alla luce di una lanterna, si accorsero che il lino era salito a un'altezza considerevole, decisero di andare, alla piena luce del giorno a misurare la statura raggiunta del campanile. Ma quale delusione li attendeva!
La tela era salita ben in alto, quasi fra le nubi, ma il campanile non era cresciuto di un centimetro!
"Che fare? Cosa dire? Con chi prendersela?
Se ne tornarono tutti a casa mogi, mogi, delusi e alquanto confusi.
Ognuno diceva la sua, e, oh ingratitudine umana! Ci fu perfino chi osò dubitare della dirittura morale di Compare Crestaz! ! !


Le streghe del Monte Ciamoseira.

Lo sguardo del turista che per la prima volta percorre la valle del Lys, rimane attratto dalla vista imponente del monte Ciamoseira.
Questo colosso dall'aspetto maestoso, si erge sulla sponda destra del Lys, sui confini dei comuni di Perloz e Lillianes. E' un massiccio compatto dell'altezza di circa trecento metri e dalla base di circa un chilometro di lunghezza. La vetta presenta una frattura che lo divide in due parti, quasi eguali, e nel centro una anfrattuosità, ove crescono ginestre, fieno selvatico e sterpaglie. Nel mese di maggio appare tutto trapunto di bianco: sono le sassifraghe dei Pirenei, che crescono rigogliose nelle fessure di quelle rocce. Nelle giornate piovose, mille rigagnoli lo solcano e vanno a cadere a strapiombo sui massi sottostanti, formando spruzzi iridescenti.
A nord è traversato perennemente dal ruscello Foby che, dopo una cascata pittoresca, va a confondere le sue acque con quelle del Lys, nel punto denominato « lama della Pignatta ». E' una località prediletta dagli uccelli. Nella buona stagione vi nidificano i rondoni alpini, i passeri solitari, i luì, le lodole, i falchi, le aquile...
Anticamente era abitato dai camosci, onde il suo nome (camosci vi erano) : Ciamoseira.
Ora nei luoghi accessibili vi pascolano le capre, anche nella stagione invernale, perché in quella località privilegiata, la neve non si ferma mai.
Ma l'importanza di questo monte non è dovuta solo al suo aspetto caratteristico, alla sua posizione geografica, alla sua costituzione geologica, alla sua fauna, alla sua flora... Questo Monte ha un non so che di misterioso, di leggendario, perché in passato vi prendevano dimora le streghe. Anche ai nostri giorni si scorgono talvolta, durante le lunghe notti invernali, dei fuochi fatui che vagano per quei pendii... Ma il fenomeno in passato si verificava più frequentemente e più intensamente.

Una notte di novembre dell'anno 1877 gli abitanti della sponda sinistra del Lys, videro il monte Ciamoseira illuminato a giorno. Sorpresi si misero ad osservare.
Innumerevoli fuocherelli attraversavano la montagna in tutti i sensi, saltellando e occhieggiando con velocità vertiginosa. Questi fuochi talvolta si riunivano in uno o due punti soli, poi riapparivano più lontano in gruppi di due, quattro, cinque, dieci, venti... Facendo scorribande inverosimili: il monte sembrava cosparso di colossali lampiridi, in piena estate.
Lo spettacolo durò dalle dieci di sera fino alle due del mattino. A quell'ora ebbe luogo la "cena". Si videro i fuochi precipitare dal monte, come attratti da una forza irresistibile, e disporsi in circolo nel prato sottostante, a mo' di tanti commensali attorno a una enorme tavola imbandita. La "cena" durò circa un'ora, dopo di che si vide la "comitiva" disporsi in fila indiana, attraversare il Lys, in regione Piscine, e incamminarsi, processionalmente sull'altra sponda del torrente, seguendo sempre il vallone. La processione fu osservata e seguita anche dagli abitanti della sponda destra. Si vide che andò a finire nel pianoro di Portola, località sita sui confini del Biellese, e rinominata per le tregende delle streghe.

Al mattino un nerbo di coraggiosi si portò nei pressi del Monte per verificare se fossero stati accesi dei fuochi, per ingannare la gente, ma non videro nemmeno un carbonello né nessuna traccia di orme umane.
Erano effettivamente le streghe?
Erano gli spiriti folletti?
Era elettricità? Erano emanazioni fosforescenti?
Non si sa.
Ma quello che è certo è che il fenomeno si verificò effettivamente, che fu veduto da tutta la popolazione, e che apparizioni del genere si ripetevano assai spesso.
Chi scrive, conobbe varie persone che osservarono davvero lo spettacolo, e sulla veridicità delle quali non è lecito dubitare.


La donna reputata strega.

Nel tempo dei tempi, quando la viabilità era scarsa, e la Valle era appena attraversata da una stretta mulattiera, quando le scuole erano rare e della durata di pochi mesi, quando la zona era popolata da lupi e da orsi, la superstizione era all'ordine del giorno. Tutti credevano ai sortilegi, alle propretà divinatrici di certi animali, come volpi e civette, ai poteri infernali delle vecchie streghe.
Le povere donne che avevano la dissavventura di campare lungamente e di perdere le attrattive della gioventù, venivano da tutti considerate streghe, quindi capaci di levare il latte dalle mammelle delle mucche (senza toccarle), il burro dalle zangole, di fare ammalare i pargoli e anche di produrne la morte.

Era il mese di gennaio. Una contadina del villaggio Grange di Lillianes aveva fatto tutti i preparativi per fare il burro, e da oltre due ore sbatteva la panna, senza ottenere gli aspettati risultati. Invece di burro appariva soltanto schiuma. Più batteva e più schiuma si formava.
Dopo un po' di tempo la buona donna, perso ogni ritegno , esclamò: - Occorre bruciare la strega, che impedisce al burro di formarsi! Ciò detto, prese una lunga spranga di ferro, la arroventò e la lasciò cadere nella zangola.
La reazione del caldo e del freddo produsse quel tale stridio che tutti conosciamo e che la nostra donna interpretò:
-Il lamento della strega.
-Ho bruciato la strega, disse soddisfatta, -Essa freme e io tra poco potrò fare il mio burro. E riprese il suo lavoro , con rinnovata lena.
Il ferro rovente riscaldò la panna e il burro in pochi minuti si formò. In quel mentre si udì qualcuno sul ballatoio che chiamava.
Era la figlia della vecchia, reputata strega, che veniva a chiedere soccorso.
-Mia mamma, disse -sta molto male, e non so come curarla. Sono sola, venite ad aiutarmi! Ve ne prego!
-Te la dò io la cura! Va a casa e dille che crepi. Fui io a farle male, a bruciarla. E se non ne ha abbastanza, dille che tra poco verrò a darle il resto che si merita.
La povera ragazza, vedendo tale accoglienza, sbigottita fuggì, con la disperazione nel cuore. Andò a sprangare ben bene la porta di casa, per impedire che venissero ad assassinarle la madre.